Dr. Adriana Severino, Dr. Alessandro Santaniello, Dr. Lorenzo Beretta, UOC Immunologia Clinica, Fond. IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico, Milano.

L’ipertensione arteriosa polmonare è una complicanza della  sclerosi sistemica, che si manifesta nel 5-10% dei pazienti ed è una patologia che influenza negativamente la prognosi e la qualità di vita dei malati. Tale complicanza è caratterizzata da un aumento della pressione a livello del circolo polmonare, causato da un progressivo ispessimento della parete dei vasi, che diventano sempre più stretti, determinando  un aumento della resistenza al flusso sanguigno. Questo incremento di resistenza al flusso costringe il cuore ad aumentare il suo lavoro di pompa, soprattutto nella parte destra (dal cuore destro partono i vasi polmonari che servono per ossigenare il sangue e che sono coinvolti nel danno da ipertensione polmonare). Il cuore, però, non riesce a sopportare a lungo tale carico e per compensare l’incremento di lavoro tende a dilatarsi fino a diventare del tutto insufficiente ed in incapace di compiere la sua funzione di pompa.

Dal punto di vista clinico, inizialmente i pazienti possono risultare del tutto asintomatici o presentare sintomi aspecifici; solo in una fase più avanzata del danno vascolare è possibile assistere alla comparsa di sintomi decisamente più caratteristici, quali la dispnea (la mancanza di fiato o “fame d’aria”) che si manifesta inizialmente per sforzi moderati e nelle fasi più avanzate anche a riposo. Tale dispnea è determinata da un progressivo scompenso cardiaco, che viene classificato secondo una scala di 4 gradi (classificazione NYHA) che parte dalla classe I in cui vi è una cardiopatia, senza limitazioni all’attività fisica (assenza di sintomi), sino alla classe IV in cui la cardiopatia determina la presenza di sintomi anche a riposo.

La diagnosi di ipertensione arteriosa pol- monare si effettua tramite l’esecuzione del cateterismo cardiaco destro con riscontro di valori di pressione media in arteria pol- monare maggiori o uguale a 25 mmHg e la presenza di una pressione di incuneamento (wedge pressione) minore di 15 mmHg.

Ad oggi, le terapia in uso per la cura dell’ipertensione polmonare sono divise in tre categorie:

  • antagonisti dei recettori dell’endotelina (Bosentan ed Ambrisentan), farmaci mirati alla riduzione dello spessore della parete vascolare,  agendo  sul  blocco  dei  recettori dell’endotelina, molecola fortemente presente e coinvolta proprio nell’aumento dello spessore dei vasi,
  • inibitori della 5 fosfodiesterasi (Tadalafil e Sildenafil) farmaci mirati alla produzione di ossido nitrico, che ha una potente azione di rilasciamento della muscolatura liscia dei vasi, determinando una vasodilatazione
  • prostacicline  per  via  inalatoria,  sottocutanea e intravenosa (Iloprost per via inalatoria, Treprostinil per via sottocutanea ed Epoprostenolo per via endovenosa), farmaci anch’essi mirati ad aumentare la vasodilatazione a livello dei vasi polmonari.

Solitamente, al momento della diagnosi si introduce un primo farmaco (un antagonista del recettore per l’endotelina o un inibitore della 5 fosfodiesterasi) in quanto farmaci prescrivibili per classe funzionale NYHA II; in caso di non miglioramento clinico o di peggioramento di malattia (valutato sulla base  dell’esito  degli  esami  ematochimici, del controllo dell’ecocardiodoppler, del test del cammino, della spirometria, degli eventuali ricoveri ospedalieri e sui dati clinici riferiti dal paziente) si aggiunge un secondo o un terzo farmaco (solitamente quando il paziente raggiunge una classe funzionale NYHA III, classe in cui è consentita la prescrizione delle prostacicline).

Nel’ultimo anno, però, sono stati presentati 3 studi che potrebbero cambiare in parte la comune pratica clinica e la scelta del farmaco iniziale da prescrivere al paziente.

Il  primo  studio,  chiamato  Seraphin, è  un trial clinico che presenta un nuovo farmaco (Macitentan) che agisce sempre come antagonista  dei  recettori  dell’endotelina, ma in modo più duraturo (tempo di dissociazione dal recettore molto più lungo) e selettivo (maggiore penetrazione nei tessuti) rispetto ai farmaci già in commercio. I risultati di questo studio evidenziano la capacità del Macitentan al dosaggio di 10 mg di ridurre del 45% il rischio di sviluppo di un endpoint primario (morte, intervento di settostomia atriale, trapianto di polmoni, inizio di trattamento con prostacicline per via endovenosa o sottocutanea o peggioramento dei valori di pressione in arteria polmonare) rispetto ai pazienti che assumevano esclusivamente o  inibitori della 5 fosfodiesterasi o prostacicline inalatorie. Inoltre, ha evidenziato anche la riduzione del 50% delle ospedalizzazioni per complicanze legate all’ipertensione polmonare.

Il   secondo   studio,   chiamato   Ambition, è  un  trial  clinico  che  dimostra  la  superiorità   di   efficacia   terapeutica   (riduzione dell’ospedalizzazione, aumento del numero dei metri percorsi al test del cammino,  miglioramento  clinico  e  dei  valori di pressione media in arteria polmonare) nell’assunzione sin dalla classe funzionale NYHA   II   della   combinazione   ambrisentan + tadalafil (antagonista del recettore dell’endotelina + inibitore della 5 fosfodiesterasi) rispetto all’inizio della terapia con uno solo dei due farmaci.

Infine, il terzo studio, presenta un nuovo farmaco della classe degli inibitori della 5 fosfodiesterasi, il Riociguat, che agisce sulla vasodilatazione e sulla proliferazione vasale non soltanto aumentando la produzione di ossido nitrico, ma agendo anche a livello dei recettori   che ne stimolano la produzione. Lo studio evidenzia l’efficacia del Riociguat sia in monoterapia, che in combinazione con i farmaci anti-endotelina (dal dosaggio minimo di 1 mg al dosaggio massimo di 2.5 mg) nella riduzione delle resistenze vascolari polmonari, della pressione in arteria polmonare, nell’aumento dell’indice cardiaco (indice di miglioramento della capacità di pompa del cuore) e nel miglioramento del test del cammino.

Questi studi, per quanto non effettuati esclusivamente in pazienti sclerodermici, potrebbero essere il punto di partenza di una nuova visione della strategia terapeutica per il trattamento dell’ipertensione arteriosa polmonare, volta alla riduzione della mortalità ed al miglioramento della qualità di vita dei pazienti.