Il coinvolgimento renale rappresenta un’altra manifestazione della sclerosi sistemica espressione della tipica sofferenza vascolare caratteristica della malattia che se non riconosciuta e trattata tempestivamente ed adeguatamente presenta una prognosi altamente infausta. In corso di sclerosi sistemica il rene può essere coinvolto da processi patologici di intensità variabile che vanno da manifestazioni sfumate con lieve proteinuria ed ematuria senza particolare impatto sulla vita del paziente a forme con progressiva compromissione della funzione renale in assenza di sintomatologia specifica fino al quadro definito come “crisi renale sclerodermica”. Quest’ultima è una temibile complicanza che si manifesta con ipertensione diastolica, riduzione della filtrazione glomerulare, aumento della creatinina plasmatica, anemia microangiopatica, retinopatia, proteinuria o ematuria, encefalopatia ipertensiva, insufficienza cardiaca congestizia. Il marcato rialzo pressorio è la principale caratteristica della crisi renale sclerodermica, a cui segue una contrazione della diuresi fino all’anuria e sviluppo di insufficienza renale, in alcuni casi talmente severa da portare il paziente alla dialisi.

La crisi renale sclerodermica si presenta con una frequenza variabile; in Italia ha una prevalenza inferiore al 5%. Sono noti alcuni fattori associati allo sviluppo di crisi renale sclerodermica di cui i più importanti sono rappresentati da una breve storia di malattia (abitualmente compare nei primi 3-5 anni di malattia), dalla presenza di una forma di coinvolgimento cutaneo di tipo diffuso con rapida progressione della fibrosi cutanea, dall’utilizzo di terapia steroidea soprattutto se a dosi medio/alte e dalla presenza di anticorpi diretti contro l’antigene topoisomerasi I e RNA polimerasi III (non dosabile in tutti i laboratori). Recenti evidenze hanno mostrato come l’utilizzo di calcio antagonisti della categoria delle diidropirimidine eserciti un ruolo potenzialmente protettivo sulle manifestazioni patologiche renali in corso di sclerosi sistemica.

Dal punto di vista microscopico sono presenti lesioni arteriose che obliterano in modo preminente le piccole arterie interlobulari e quelle glomerulari del rene. Nella fase acuta si osservano la formazione di trombi di materiale fibrinoso e aree di necrosi (morte cellulare). Nelle fasi successive si assiste ad un progressivo un ispessimento delle pareti dei vasi di tipo concentrico e si determina quel particolare aspetto dei vasi detto a bulbo di cipolla. La sofferenza microangiopatica si esplicita anche con processi distruttivi a carico delle cellule del sangue con frequente sviluppo di anemia di tipo emolitico.

Figura 1 – Crisi renale sclerodermica

Figura 1 – Crisi renale sclerodermica

Fino ad alcuni anni fa il coinvolgimento renale rappresentava la principale causa di morte nei pazienti sclerodermici. La comprensione di alcune delle alterazioni dei meccanismi che regolano la contrazione delle pareti dei vasi, che sottostanno all’innesco e al progressivo incremento del danno renale ha permesso contrastare questo processo patologico. L’introduzione in terapia di una categoria di farmaci nominati ACE inibitori, in grado di agire sull’asse renina-angiotensina-aldosterone, fortemente alterato in corso di crisi renale sclerodermica, ha consentito di ottenere degli straordinari miglioramenti in termini di prognosi, sopravvivenza e qualità della vita; in particolare riducendo in maniera significativa il rischio di sviluppare insufficienza renale terminale e conseguentemente il numero di pazienti dialisi dipendenti o avviati alle procedure di trapianto renale. Nonostante i progressi dovuti alla introduzione degli ACE inibitori, il 20-50% dei pazienti con crisi renale sclerodermica va incontro ad insufficienza renale terminale. Tale rischio è tanto più alto quanto più tardivo è il riconoscimento di una “crisi renale” (segnali d’allarme sono un improvviso incremento della precessione accompagnato o meno da cefalea, ritenzione idrica, riduzione della quantità di urina e se effettuati esami di laboratorio, un incremento della creatinina), quanto più tardivamente sono utilizzati gli ACE-inibitori e, in definitiva, quanto meno è esperto della patologia il medico che tratta questa complicazione.
Nelle forme più severe di crisi renale sclerodermica, il trattamento dialitico può essere temporaneo o, nei casi più gravi, cronico (circa il 30% delle persone coinvolte). Anche nei casi più favorevoli, dopo la risoluzione della fase acuta, il miglioramento della funzione renale e il recupero della diuresi spontanea può richiedere anche parecchi mesi con necessità di effettore dialisi per 3-12 mesi. E’ pertanto importante seguire molto attentamente il paziente per valutare se e quando prendere eventualmente in considerazione l’inserimento in lista trapianto. L’esperienza con il trapianto renale nei pazienti sclerodermici è limitata. I risultati a lungo termine del trapianto renale nel paziente sclerodermico è peggiore rispetto alla popolazione generale, ma è evidente come tale procedura sia comunque utile garantendo una sopravvivenza superiore rispetto alle persone che rimangono in lista d’attesa (sopravvivenza dei pazienti a 1 e 3 anni dal trapianto pari al 90 e 80%, rispettivamente nei pazienti trapiantati vs 81% e 55% nei non trapiantati).
In considerazione della frequente necessità, almeno nelle prime fasi, di un servizio di dialisi e di una equipe multidisciplinare per valutare e stabilire andamento ed eventuale necessità/possibilità di inserire il paziente in lista trapianto di rene, risulta fondamentale che il paziente sia seguito preso un centro dove sia presente anche un reparto di nefrologia esperto nel trattamento e nella gestione di questa severa complicanza.