Prof. Francesco Blasi, Direttore Broncopneumologia

IRCCS Fondazione Ospedale Maggiore Policlinico Cà Granda Milano

Tra i più frequenti sintomi di presentazione al medico, la cui interpretazione fi nale mette spesso alla prova anche il clinico più smaliziato, trova indubbiamente un posto d’onore la “dispnea da sforzo”. Nascosta tra le innumerevoli pieghe della diagnosi differenziale di un disturbo apparentemente così comune quanto semplice si può, infatti, annidare una sindrome spesso trascurata: l’ipertensione polmonare. Con il termine “ipertensione polmonare” vengono indicati alcuni quadri patologici aventi come minimo comune denominatore l’incremento anormale dei valori di pressione arteriosa media all’interno del circolo vascolare polmonare (≥ 25 mmHg misurata in condizioni di riposo durante cateterismo cardiaco destro). La sofferenza delle sezioni cardiache di destra ed il progressivo deterioramento della loro funzione conseguenti al persistere di tali elevati valori pressori si trovano alla base delle manifestazioni cliniche tipiche che accomunano i diversi quadri patologici e che ne determinano la storia naturale. Si riconoscono fondamentalmente quattro meccanismi principali in grado di generare questa condizione. In primo luogo, e più frequentemente (circa 80% dei casi), quello cardiopatico con connotazione “post-capillare”, ovvero con contemporaneo riscontro di innalzamento delle pressioni di riempimento delle sezioni cardiache di sinistra (pressione di incuneamento polmonare > 15 mmHg). Inoltre, di carattere sostanzialmente “precapillare”, quelli pneumopatico/ipossico, embolico o primitivamente arteriolare polmonare. Da ciò deriva l’attuale classifi cazione di malattia che distingue i quadri conseguenti ad insuffi cienza ventricolare sinistra o valvulopatia (gruppo 2), patologia polmonare cronica come BPCO o fi brosi polmonare (gruppo 3) e tromboembolismo polmonare cronico (gruppo 4) dalla cosiddetta “ipertensione arteriosa polmonare” (gruppo 1), ovvero il danno primitivamente a carico del distretto arteriolare polmonare di carattere idiopatico, ereditario, infettivo (es. HIV), tossico (es. farmaci anoressizzanti), associato a patologie del connettivo (es. sclerosi sistemica), ipertensione portale, emolisi cronica (es. talassemia), cardiopatie congenite con iperaffl usso polmonare (es. Eisenmenger). Quest’ultimo eterogeneo gruppo trova la sua ragione unifi cante nei comuni reperti istologici a carico del distretto arterioso periferico polmonare (proliferazione dell’intima, ipertrofi a della tonaca media, fi brosi dell’avventizia e lesioni plessiformi) e nelle comuni implicazioni di carattere prognostico e terapeutico. Si tratta di una condizione rara con prevalenza di circa 15 casi per milione ed incidenza di circa 2-3 casi per milione di pazienti all’anno con una prevalenza per il sesso femminile. Spesso il tempo trascorso dall’insorgenza dei sintomi e la diagnosi defi nitiva è molto lungo, si stima in alcune casistiche di circa 2 anni. Il sospetto diagnostico nasce solitamente in presenza di dispnea da sforzo non spiegata dalle più comuni cause cardio-respiratorie o comunque di entità evidentemente sproporzionata in rapporto alla gravità dell’eventuale patologia sottostante nota. Nei casi più avanzati possono comparire segni obiettivi evidenti di scompenso destro (edemi declivi, turgore giugulare, sdoppiamento del secondo tono cardiaco etc.). Lo strumento in grado di confermare il sospetto diagnostico e porre quindi indicazione ad ulteriori approfondimenti è generalmente rappresentato dall’ecocardiografi a transtoracica. Attraverso la stima della pressione arteriosa polmonare sistolica e lo studio dei segni indiretti di sofferenza delle sezioni cardiache di destra è possibile individuare quali pazienti sono caratterizzati da un’elevata probabilità di risultare affetti da ipertensione polmonare. In particolare una pressione arteriosa polmonare sistolica stimata ecocardiografi camente > 50 mmHg indica decisamente la prosecuzione dell’iter diagnostico. Quest’ultimo è volto innanzitutto alla ricerca delle più comuni cause cardiologiche o polmonari passando attraverso un accurato colloquio anamnestico ed indagini strumentali ecocardiografi che ed elettrocardiografi che (alla ricerca di segni insuffi cienza ventricolare sinistra o valvulopatia, segni impegno destro come deviazione assiale destra, blocco di branca destra, ipertrofi a ventricolare destra, “P polmonare”), radiologiche (Rx e TCHD del torace alla ricerca di segni di interstiziopatia polmonare o enfi sema), funzionali respiratorie (pneumopatie ostruttive croniche, riduzione della capacità di diffusione del CO), emogasanalitiche (ipossia cronica). In questi casi la gestione clinico/terapeutica sarà focalizzata sul trattamento della patologia di base sottostante più che sull’ipertensione polmonare in sè. Il passo successivo consiste nell’indagare la presenza di segni di tromboembolismo polmonare cronico, solitamente mediante scintigrafi a polmonare perfusoria. Pur rappresentando una componente minoritaria tra le cause di ipertensione polmonare, è comunque estremamente importante la sua identifi cazione. Nella maggior parte dei casi infatti, essa è suscettibile di trattamento chirurgico (tromboendoarteriectomia) con elevata probabilità di un successo terapeutico più che soddisfacente quando non addirittura defi nitivo. Una volta escluse le cause sopraccitate è infi ne possibile prendere in considerazione il quadro di “ipertensione arteriosa polmonare”, la cui diagnosi defi nitiva passa attraverso l’esecuzione di cateterismo cardiaco destro con misurazione diretta delle pressioni polmonari e di altri indici emodinamici (resistenze polmonari, gittata cardiaca, pressione di incuneamento polmonare). Allo scopo di distinguere la forma idiopatica da quelle associate ad altre condizioni patologiche sarà inoltre necessario effetuare gli approfondimenti anamnestici/ematochimici/strumentali volti alla ricerca di connettivopatie (autoimmunità), infezione da HIV, epatopatie avanzate (imaging addominale), utilizzo di farmaci a rischio, familiarità, cardiopatie congenite, anemie emolitiche. Un posto di prima importanza è sicuramente occupato dalla sclerosi sistemica, in particolare nella sua forma limitata cutanea. Circa il 50 % dei casi degli accessi specialistici per ipertensione arteriosa polmonare è infatti probabilmente riferibile ad essa, ed almeno il 10% dei pazienti affetti da sclerosi sistemica svilupperà tale complicanza durante la storia di malattia. Al fi ne di poter formulare una corretta prognosi e di acquisire un valido punto di riferimento per la valutazione di effi cacia della terapia è fondamentale inoltre stabilire la gravità della malattia al momento della diagnosi. Gli strumenti a disposizione sono fondamentalmente l’entità dei sintomi percepiti dal paziente (rappresentata su 4 livelli di gravità crescente in base alla limitazione delle normali attività quotidiane dalla “classifi cazione funzionale dell’ipertensione polmonare” dell’OMS) e la capacità di esercizio fi sico misurata mediante la distanza percorsa al test del cammino dei 6 minuti. Un ulteriore strumento, più raffi nato e di più complessa esecuzione ed interpretazione, è rappresentato dal test da sforzo cardiopolmonare con la misurazione del massimo consumo di O2 al picco dell’esercizio. Assumendo come valore medio ragionevole un’aspettativa di vita di circa 2-3 anni dalla diagnosi in assenza di terapia specifi ca, va considerato che tale valore può oscillare tra estremi di 6 mesi o 6 anni a seconda della classe funzionale (I o IV) e della performance di esercizio (es. distanza percorsa al test del cammino < o > 300 m). Gli strumenti terapeutici attualmente disponibili si sono dimostrati in grado di modifi care favorevolmente la prognosi in molti casi, in assenza però di un vero e proprio effetto curativo defi nitivo. L’ipertensione arteriosa polmonare va quindi tutt’oggi considerata una patologia cronica progressiva priva di trattamento medico defi nitivamente effi cace. Il trattamento viene suddiviso in terapia di supporto e terapia specifi ca. Fanno parte della terapia di supporto l’ossigenoterapia (allo scopo di mantenere valori di PaO2 > 60 mmHg), la terapia anticoagulante orale (per contrastare lo stato di ipercoagulabilità cronica riscontrato nella malattia) e la terapia diuretica di scarico idrico. I principali gruppi di farmaci costituenti la terapia specifi ca sono invece rappresentati dai calcio-antagonisti, antagonisti del recettore per l’endotelina, inibitori della fosfodiesterasi-5, prostanoidi. L’utilizzo di calcio-antagonisti (nifedipina, amlodipina, diltiazem) è subordinato alla positività del test di vasoreattività effettuato durante cateterismo destro mediante l’utilizzo di farmaci vasodilatatori a breve durata (ossido nitrico, adenosina o prostaciclina). Questo consiste nel testare la capacità residua dei vasi arteriosi polmonari di aumentare il loro calibro (e conseguentemente di ridurre le resistenze polmonari) se sottoposti a stimolo farmacologico. Meno del 10% dei pazienti è in grado di trarre un benefi cio signifi cativo e prolungato nel tempo da questo approccio terapeutico. L’endotelina, in quanto sostanza ad effetto vasocostrittore e proliferativo, rappresenta un ulteriore bersaglio della terapia specifi ca. I farmaci antagonisti del suo recettore (bosentan, sitaxenan, ambrisentan) rappresentano un possibile approccio terapeutico di prima linea in pazienti con malattia medio-grave (classi II-III) in grado di migliorare sia l’entità dei sintomi che la capacità di esercizio. Effetto collaterale caratteristico di questa classe è l’epatotossicità, imponendo quindi un serrato e costante monitoraggio degli indici di funzionalità epatica. Con l’intento di sfruttare al massimo il potente effetto vasodilatatore dell’ossido nitrico, gli inibitori della fosfodiesterasi-5 (sildenafi l, taladafi l) vengono utilizzati poiché in grado di prolungarne l’azione. In questo caso è necessario un prudente monitoraggio dei loro effetti di ipotensione sistemica. Vengono utilizzati con indicazione sovrapponibile a quella della classe precedentemente descritta. Unica classe farmacologica con dimostrata capacità in alcune casistiche di infl uenzare la storia naturale della malattia in termini di riduzione della mortalità è costituita dagli analoghi della prostaciclina (epoprostenolo, iloprost, treprostinil, breaprost), molecola con potente effetto vasodilatatore, inibitore dell’aggregazione piastrinica ed antiproliferativo. Mediante vie di somministrazione differenti a seconda del farmaco (infusione endovenosa continua, aerosolica) vengono indicati in particolare nei casi di maggiore gravità (classi IIIIV) e di ineffi cacia degli altri approcci terapeutici. Alcune casistiche suggeriscono che, nonostante la disponibilità dei differenti approcci terapeutici specifi ci sopra menzionati, una proporzione che può comprendere fi no al 25% dei pazienti ha una risposta scarsa ed insoddisfacente alla terapia medica. In questi casi l’ extrema ratio è rappresentata dal trapianto mono o bipolmonare o cuorepolmone. Attualmente la sopravvivenza globale a 5 anni dal trapianto in pazienti affetti da ipertensione arteriosa polmonare raggiunge valori del 45-50%. In conclusione, la conoscenza dell’esistenza e delle principali caratteristiche salienti di questa complessa sindrome è un requisito fondamentale per ogni fi gura medica che si debba confrontare quotidianamente con problematiche di ordine respiratorio. Precocità della diagnosi e tempismo nell’indirizzo ad un centro specialistico, in grado di fornire ad un tempo supporto medico multidisciplinare aggiornato nonché psicologico e sociale mirati, sono infatti determinanti cruciali della prognosi finale.

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