Dottoressa Monica Carroni

Preparare questa relazione mi ha fornito l’occasione di rifl ettere su alcuni
aspetti impliciti dell’incontro medico-paziente, sui quali vale la pena porre
attenzione.
Rappresentando la scena del momento della diagnosi di Sclerosi Sistemica
come un fumetto, la reazione che spesso ha il paziente di fronte a tale notizia
può essere schematizzata con una nuvoletta contenente un grande punto
interrogativo. Peraltro è lo stesso smarrimento che ritrovo nelle persone che
mi chiedono quale sia il mio lavoro: l’Immunologia Clinica e le patologie di cui
l’Immunologo clinico si occupa sono un mistero per i più.
La Sclerosi Sistemica è una malattia rara e misconosciuta non solo al paziente
ma, a volte, anche al medico di base e ad altri specialisti.
Già il percorso per arrivare alla diagnosi non è lineare ma spesso un’avventura
tra esami, a volte con sigle indecifrabili, e visite specialistiche.
Il momento della comunicazione della diagnosi, quindi, coincide con quello
dell’informazione e dell’educazione del paziente.
Questo è un momento fondamentale in cui con termini semplici, capibili
ma corretti il medico deve saper spiegare questa patologia, partendo dai
meccanismi patogenetici fi no ad arrivare alle manifestazioni cliniche più
complesse e invalidanti. Non è per spaventare il paziente, la paura non aiuta
il cammino: la spiegazione è la premessa necessaria per una corretta adesione
alla terapia e al monitoraggio clinico che la malattia richiede.
La terapia della sclerosi sistemica, infatti, spesso è complessa e comprende
farmaci impegnativi (per es. immunosoppressori e lo stesso iloprost), non certo
privi di effetti collaterali a cui il paziente deve essere preparato per evitare
l’abbandono precoce della terapia.
Anche la terapia di base è fondamentale: l’assunzione corretta del calcio
antagonista e dell’antiaggregante, sin dalle fasi precoci, può aiutare a rallentare
la progressione della malattia.
La terapia della sclerosi sistemica è una terapia a lungo termine perché la
malattia è cronica.
Fondamentale è spiegare al paziente, sin dall’inizio, che da questa malattia non si
guarisce: può essere tenuta sotto controllo, si parla di remissione clinica ma non
di guarigione. Anche qui l’effetto voluto non è il terrore ma aiutare il paziente a
entrare nell’ottica di controlli periodici di esami e visite mediche, anche se si sta
bene, anche se quelli precedenti erano normali. L’attento monitoraggio clinico
della malattia e del coinvolgimento d’organo ci permettono di cogliere anche
minime variazioni di alcuni parametri e quindi di intervenire precocemente
nella cura di complicanze.
La prevenzione e la cura precoce dell’impegno d’organo sono attualmente il
nostro obiettivo. Fare prevenzione signifi ca, per noi addetti ai lavori, anche far
conoscere il più possibile questa malattia partendo dalla sua manifestazione
iniziale: il fenomeno di Raynaud. Ciò ci permette di arrivare alla diagnosi
sempre più precocemente e di intraprendere un’adeguata terapia e follow
up che possono cambiare la storia clinica del paziente. Dire oggi: “Lei ha la
Sclerosi Sistemica” è certamente diverso in termini prospettici rispetto alla
stessa diagnosi formulata anche solo 15 anni fa.
Il momento della diagnosi è soltanto l’inizio di un’alleanza terapeutica in cui
noi specialisti e voi pazienti giochiamo ruoli diversi certamente ma entrambi
attivi. L’empatia con il paziente aiuta sicuramente a migliorare la compliance
del paziente stesso, tuttavia il medico non deve perdere l’obiettività di giudizio
sulla malattia, cosa che a volte ci pone di fronte a scelte terapeutiche o
prescrizioni di indagini impegnative per il paziente sempre motivando il nostro
agire. Spiegare al paziente, rispondere alle sue domande ma non scendere a
compromessi: il compromesso, il rimandare, l’attendere sono comunque una
scelta terapeutica che in alcuni casi può rivelarsi sfavorevole per il paziente.
Per concludere lancerei un appello: voi non siete soli in questa malattia ma
anche noi non vorremmo essere lasciati soli nella ricerca: la ricerca clinica ma
anche di base hanno bisogno di voi, della vostra partecipazione agli studi, ai
protocolli che non sono fi ni a se stessi ma passi fondamentali per andare avanti
nella conoscenza e nella cura di questa malattia affi nchè si vedano sempre
meno in futuro le “cicatrici” che questa lascia.